martedì 30 novembre 2010
Vivere tutto quello che si può vivere in una vita, vincere tutto quello che si può vincere, riuscite nell’impresa rara di catturare nella celluloide i segreti dell’identità italiana. Monicelli ha fatto tutto questo, regalandoci mille maschere immortali e regalandosi una stagione da ottuagenario iperattivo, la mattina il caffè in piazzetta a Madonna dei monti, i pomeriggi a filmare con la telecamerina, nei mercati e nei cortei. Si può uscire anche così gettandosi da una finestra. Non perché si desideri la morte, ma proprio perchè si ama la vita.
Il Colosseo a Roma, la Mole a Torino, la Torre di Pisa, la Federico II a Napoli, l'Agenzia delle Entrate a Milano, la stazione di Palermo e poi le università di Firenze, Bologna, Ancona, Bari, Venezia, Trieste, Ferrara, Siena, Lecce, Teramo, Perugia e Cagliari. L'ondata della protesta studentesca di questi giorni non ha risparmiato nulla, travolgendo con la sua potenza contestataria le maggiori città italiane, i luoghi simbolo del nostro Paese, per sfociare infine nel santuario della politica italiana: il Senato. L'irruzione di decine di ragazzi a Palazzo Madama ricorda molto la presa della Bastiglia durante la rivoluzione francese del 700, e non solo per il numero di pregiudicati e galeotti presenti nell'una e nell'altra. Un'ondata di protesta che ha lasciato l'Italia esterrefatta, allibita di fronte alla dirompente capacità dei nostri ragazzi di dire ancora NO. Dire No ad una riforma che rischia di assestare il colpo di grazia all'istruzione e alla ricerca italiana, già sofferenti dopo anni di lassismo ed apatia. Anni in cui si è si parlato di istruzione e di cambiamento ma sempre nei termini sbagliati. Anni in cui si è cercato di salvare un sistema zoppicante con interventi inutili e codardi, che tutto hanno fatto tranne che cambiare realmente le cose. Sta di fatto che adesso in Italia l'istruzione, l'università è la ricerca sono al palo, rischiano di esalare l'ultimo respiro prima di soccombere definitivamente. Soprattutto quelle pubbliche, colpite dalle cieche accettate del Ministro Gelmini che con la scusa di combattere i baronati compromette l'inetro sistema, ancor una volta a vantaggio delle istituzioni private. Ecco che a scendere in piazza sono allora i ragazzi stessi, i protagonisti dell'istruzione e della ricerca italiana, coloro che detengono nelle loro mani il futuro del nostro Paese. E scendono in piazza a modo loro, manifestando con il cuore in mano il loro dissenso, con striscioni, cuori e bandiere. Una manifestazione nazionale che urla al cielo una delle vere emergenze dell'Italia, mentre a Roma non si fa che parlare di Berlusconi, Fini e delle nuove alleanze. Mentre la politica è impegnata come al solito a parlare di se stessa, ecco che i nostri ragazzi parlano del mondo reale, del rischio che in Italia l'istruzione diventi ad appannaggio solo di chi se lo può permettere e che la ricerca smarrisca se stessa. Migliaia di ragazzi che con un colpo di reni hanno inondato le strade italiane, stanchi di essere emarginati e schiacciati da una società gerontocratica che non vuole altro che sfruttarli. Sono i nuovi schiavi moderni, costretti a lavorare per niente e a sognare un futuro che non arriva male. Forse la riforma dell'istruzione è stata solo la scintilla che ha fatto scoppiare la polveriera della protesta di una generazione che rischia di essere venduta al diavolo degli interessi di pochi capitan Nessuno. L'altro giorno gli schiavi hanno rotto le catene, hanno alzato la testa di fronte ad un padrone che non riconoscono più. Hanno urlato la loro voglia di avere un futuro, il loro diritto allo studio, al lavoro e alla vita. E lo hanno fatto a loro modo, con l'originalità caratteristica di questa età, occupando i luoghi simbolo di un Paese che sembra essersi dimenticato di loro. Altri hanno occupato i tetti delle facoltà, impiantando tende e sfidando le rigide temperature di questi giorni che profumano già d'inverno. E questo per il diritto allo studio e alla ricerca, due elementi essenziali alla sopravvivenza di un Paese, ma che questo Governo sembra aver completamente dimenticato. Ma un Paese che non valorizza le generazioni più giovani è destinato a scomparire, all'agonia morente di un sistema ottuagenario. “L'Italia è il Paese dei dinosauri” si diceva in un celebra film di Marco Tullio Giordana, niente di più vero. Dinosauri che rischiano di condannare all'estinzione il genio e il brio dei ragazzi, che rischiano di trascinare l'Italia ancora più a fonde negli abissi dell'ottuso passatismo figlio di politici nati al di là delle barricate. Per questo non posso che guardare con occhi di speranza la manifestazione di questi giorni, speranza in una generazione di ragazzi che non ha ancora rinunciato a lottare. Anche non approvando gli scontri che si sono prodotti in qualche circostanza con le forze dell'ordine, in quanto ogni manifestazione, anche la più sentita, non deve mai sfociare nella violenza, l'impeto con cui questi ragazzi hanno aperto la porta e sono usciti per strada non può che riempire l'animo di romantica gioia. Come al solito si è cercato di condannare questi ragazzi come “facinorosi”, “estremisti”, “manipolati dalle sinistre”. Qualcuno ha perfino detto che “un Paese civile dovrebbe menarli”. Non fa niente, Bersluconi e la società che del berlsuconesimo è figlia ci ha abituati a tutto, alle etichette, alle strumentalizzazioni, fino anche agli insulti. Ormai non importa più, tutto questo sta per finire, il berlusconesimo è arrivato ormai al suo ultimo tramonto. Quello che resterà sono questi ragazzi e la loro forza vitale, ai quali, sempre se agiranno pacificamente, andrà tutta la mia vicinanza. D'altronde qualcosa del genere era già successo, gli studenti sono già scesi in piazza per scuotere la società dal suo torpore e spingerla al cambiamento...è già successo...era il 1968!
lunedì 29 novembre 2010
domenica 28 novembre 2010
La legge è uguale per molti, ma non per tutti. Quando si tratta di coprire le malefatte del signore di Arcore, il ministero guidato da Fido Alfano si muove con sorprendente solerzia, alla faccia delle lungaggini burocratiche tipicamente italiane. E’ successo questo: il Fatto Quotidiano ha pubblicato delle intercettazioni telefoniche di Perla Genovesi (l'assistente parlamentare di un senatore di FI arrestata per traffico internazionale di droga che parlò anche dei festini che si sarebbero svolti nella residenza del premier). Il deputato del Pdl Manlio Contento ha chiesto, in un’interrogazione, ‘lumi’ sulla fuga di notizie. Prontissima la risposta del sottosegretario Caliendo, il quale ha spiegato che il Dipartimento dell'Organizzazione Giudiziaria ha già provveduto a richiedere notizie. Il ministero di via Arenula, infatti, ha avviato ''l'istruttoria necessaria'' per fare chiarezza sulla fuga di notizie relativa alle intercettazioni riguardanti Perla Genovesi, e sul fatto che non sia stata chiesta alcuna autorizzazione a procedere per mettere sotto controllo le utenze dei parlamentari coinvolti nella vicenda. Contento dovrebbe sapere che nessun parlamentare è stato messo sotto controllo, e le conversazioni ascoltate incidentalmente nel corso dell’indagine sul traffico internazionale di droga sono state stralciate perché ritenute inutili. E comunque inutilizzabili a fini processuali. Vorremmo che la stessa celerità il ministero la adottasse per rispondere alle annose questioni della giustizia italiana e per dare risposte alle legittime richieste dei cittadini. Invece, con questo governo, ci troviamo di fronte non solo a leggi, ma anche ad istruttorie e ad ispezioni ‘ad personam’. La decisione del ministero della Giustizia di inviare gli ispettori alla procura di Palermo per verificare se vi siano state fughe di notizie è quasi surreale. Con tutti i problemi della giustizia italiana, infatti, ben altri dovrebbero essere le occupazioni del ministro. Ma quando c’è da fare gli interessi del capo, evidentemente, non c’è ragione che tenga. L’interrogazione, in sé, non è un misfatto politico, ma è l’ulteriore dimostrazione che il Pdl non si preoccupa di scoprire reati e perseguire i criminali, ma solo di occultare le notizie scomode e imbavagliare i giornalisti che le pubblicano. Siamo sconcertati da questo atteggiamento e soprattutto dall’agire politico di un Guardasigilli che lavora solo ed esclusivamente per risolvere i guai giudiziari del premier.
La malattia del gioco, o ludopatia, è alimentata dallo Stato Italiano attraverso le macchinette che ha distribuito ovunque: da città come Roma o Milano, ai piccoli paesi di provincia. Le macchinette vampiro succhiano i soldi ai pensionati e ai più deboli per darli a Tremorti. I poveri, diventati più poveri, chiedono aiuto al Comune. 280.000 italiani spendono 500 euro al mese (140 milioni di euro), una cifra spesso equivalente alla loro pensione. Il sindaco di Gromo, Luigi Solinas vuole proibire con un'ordinanza l'uso delle macchinette nel suo comune. Sarà il primo comune d'Italia ad essere "Game Free Zone". Un'iniziativa da imitare ovunque.
Intervista a Luigi Santos, Sindaco di Gromo:
"Sono Santos Luigi Sindaco in un paese di Gromo, in alta Val Seriana, in Provincia di Bergamo, è un paesino piccolissimo, sono 1250 abitanti con due frazioni annesse.
Parliamo di slot machine e di macchinette, stiamo studiando un’ordinanza che possa vietare sul territorio comunale quello che è l’uso di queste macchinette, perché? La motivazione principe è nata dal fatto che ci siamo trovati famiglie che chiedevano sussistenza sociale tramite l’assistente sociale. Purtroppo cosa succede? Spesso e volentieri all’interno di queste famiglie ci sono persone che spendono al gioco delle macchinette qualcosa come 500/600 Euro al mese, allora ci siamo posti questo interrogativo: "Non è il caso di far fermare questo cane che si morde la coda?". Perché è vero che lo Stato prende dei soldi dalle macchinette, è anche vero che poi lo Stato deve dare dei sussidi sociali a persone che effettivamente ne hanno necessità. Tant’è vero che in Bergamo ci sono dei corsi tenuti dall’ASL., dal Sert, dal patronato San Vincenzo per recuperare veramente queste persone che soffrono di ludopatia. Tenete presente che in Italia ci sono qualcosa come 700 mila persone che soffrono di ludopatia e il 40% di loro, pertanto 280 mila persone, spendono più di 500 Euro al mese in queste macchinette, vuol dire veramente una finanziaria. Forse è il caso di mettere mano a queste cose, decidere veramente cosa si vuole fare, anche perché effettivamente le persone che giocano con queste macchinette sono persone più deboli o meglio, a me piace definirle meno attente: si fanno abbindolare dalla facile possibilità di portare a casa dei soldini, quando invece buttano dalla finestra tanti soldi e nessuno poi glieli rende. Parlando la settimana scorsa con un commerciante vicino al mio paese, questi mi raccontava l’esperienza di una persona che si è fermata presso la sua attività, dalle 15 fino alle 19 a giocare con questa macchinetta e lui ha stimato che possa avere buttato qualcosa come 600 Euro. La cosa è improponibile, ingiustificabile ed è il caso che di dire “Basta!” a questo sperpero di denaro. Oltretutto è uno sperpero di denaro che si ripercuote su tutte le casse e comunali, dei cittadini e dello Stato.
Signori, ricordiamoci che lo Stato non è il Sindaco o il palazzo comunale o i dipendenti comunali, ma lo Stato siamo tutti noi, lo sono io, l’intervistatore, sono tutti, pertanto tutti partecipiamo a questa cosa, forse è il caso di prendere il toro per le corna e dire “Basta, voltiamo pagina!”. Diciamo che i cittadini di Gromo hanno reagito con sensibilità a questa provocazione, nel senso che cominciano a chiederci cosa possono fare per evitare che persone meno attente giochino a queste infernali macchinette. Certo è difficile quando entra qualcuno in un’attività dire: "Tu giochi, tu non giochi". Non si potrà mai ad arrivare a questo, ecco perché si pensa di vietare l’uso di queste macchinette. So che qualcuno ha messo dei cartelli sopra le macchinette dove c’è scritto “Attenzione è un gioco, fate attenzione perché ci può essere sperpero di denaro”. Bella operazione, bella mossa, però ricordiamoci che abbiamo a che fare con delle persone meno attente; magari il cartello non lo leggono neanche. E’ come il fumatore incallito che il fatto che ci sia scritto sul pacchetto di sigarette che il fumo nuoce alla salute o provoca il cancro, non gliene può fregare di meno. Lui continua a fumare perché è convinto che gli faccia bene! In merito all’ordinanza, la si sta studiando con un ufficio legale che possa porre fine all'utilizzo delle macchinette sul Comune di Gromo, è un’ordinanza non di facile promulgazione anche perché si va a ledere parzialmente quella che è una legge dello Stato, però si pensa che tramite un’ordinanza di ordine pubblico, piuttosto che di salute, dedicata proprio alle persone meno attente si possa riuscire a evitare che nel Comune di Gromo queste macchinette siano utilizzate da tutti."
sabato 27 novembre 2010
Qualcosa però è cambiato dal 1945. La verità si può diffondere contro la volontà dei governi. Chi è in possesso dei documenti riservati relativi all'attentato a Falcone all'Addaura, alla strage di Capaci, alla strage di via D'Amelio, alla strage di piazza Fontana, alla strage dei Georgofili, alla strage di Bologna, all'assassino di Aldo Moro, di Enrico Mattei, alla strage di Ustica, all'esplosione della nave Moby Prince, all'omicidio del generale Dalla Chiesa, di Pier Paolo Pasolini, alla strage di piazza della Loggia, alla strage dell'Italicus e alle altre mille stragi e omicidi di Stato del dopoguerra (o forse è meglio dire di Stati perché è impossibile che parte dello Stato italiano (quello chiamato deviato...) abbia potuto fare tutto da solo con l'aiuto esterno del terrorismo e delle mafie), ecco chi ha questi documenti li invii a Wikileaks, l'organizzazione internazionale che pubblica in Rete documenti coperti da segreto. Non è necessario aspettare D'Alema (hai voglia), presidente del Copasir, o l'apertura post mortem della gobba di Andreotti, "la scatola nera", per sapere la verità sulla scia di sangue che ha tenuto in piedi la nostra Repubblica, una guerra civile non dichiarata con migliaia di morti, quasi tutti da una parte sola, quella dei perdenti e della giustizia. Wikileaks ha i propri server in Belgio e Svezia (due Paesi che proteggono l'anonimità degli informatori e con leggi che impediscono la chiusura del sito) e verifica l'attendibilità dei documenti prima di metterli in Rete. Contatterò Julian Assange di Wikileaks per avvertirlo di questo post.
Istruzioni per inviare i documenti a Wikile